Igor Righetti, il Comunicattivo

uscito il 5 febbraio 2008Igor Righetti, il suo programma “Il ComunCattivo” fa centinaia di migliaia di ascoltatori e ha portato tanti giovani ad ascoltare Radio 1…
Nelle mie ricerche e nei miei studi sulla comunicazione mi sono reso conto che in Italia mancava la figura dell’anchorman all’americana, mancavano i David Letterman e i Jay Leno. Mancava qualcuno che raccontasse la quotidianità e parlasse di temi difficili con un linguaggio chiaro, creativo e ironico. Il programma è seguito da un pubblico variegato che va dai 16 agli 80 anni. A tutt’oggi sono 7 gli universitari che hanno fatto tesi di laurea sul programma, sul suo linguaggio, sulla sua creatività e sul suo modo di fare infotainment. Il ComuniCattivo è stato uno dei primi programmi della Rai ad attivare il podcasting su continue richieste degli ascoltatori.
Lei non parla mai di target …
Parlo di stili di vita. Parlare di target fa comodo alle agenzie di pubblicità ma è un concetto superato. Un cinquantenne di oggi non ha nulla a che vedere con un suo coetaneo di 10 o 20 anni fa. Nello spogliatoio della mia palestra vedo tanti cinquantenni senza un pelo superfluo, lisci come bisce, con i boxer aderenti griffati, che dopo la sauna si mettono la crema idratante. Poi indossano jeans e calzano sneakers. Anche Renzo Rosso, geniale patron di Diesel, parla di stili di vita ed è riuscito a far indossare i jeans a tutte le fasce di età e addirittura i jeans italiani agli americani. Non dimentichiamoci, inoltre, che gli anziani non amano vedere conduttori più anziani e malconci di loro. Non a caso “Amici” è molto seguito anche dalla cosiddetta terza età.

Suo zio Alberto Sordi che cosa le consigliava?
La comunicazione non ha confini e sarebbe un peccato non sperimentare tutto. Sono sempre alla ricerca di nuovi modi di comunicare, non a caso ho creduto alla Rete sin dal suo inizio creando la prima agorà virtuale italiana dei comunicatori. I linguaggi della comunicazione sono tanti e tutti efficaci. Più ne usiamo, più aumenta la nostra conoscenza e la possibilità di dialogare con gli altri. Del resto anche Alberto ha sperimentato quasi tutti i linguaggi della comunicazione. Deve essere un tarlo di famiglia. Mi diceva che avevo la faccia dello scugnizzo, molto espressiva e che secondo lui avrei dovuto fare l’attore. Ma io gli rispondevo di voler fare il giornalista. Fu lui però a stimolarmi a fare la scuola di recitazione perché, mi disse, mi sarebbe servita anche nel giornalismo televisivo.

La volgarità è il sale della satira oppure ne accelera la scadenza?
La volgarità non accelera nulla, caso mai frena. Adoro la satira, non la volgarità gratuita spacciata per satira, è l’unico modo per parlare del nostro Paese senza cadere in depressione. Sbeffeggiare i potenti di qualunque ordine e grado e mettere in luce le miserie dell’essere umano non è un gioco da ragazzi. L’unico mensile satirico sopravvissuto è il Vernacoliere e l’unico a fare ancora vera satira in tv è Maurizio Crozza.
Baudo lo sa che lei considera Sanremo un museo di scienze naturali pieno di impagliati e un sito di reperti archeologici?
Credo che riceva la rassegna stampa in cui ci sarà stata anche la pagina di Libero dove ho fatto questa dichiarazione. Se gli fosse sfuggita potrà apprendere il mio pensiero grazie a Italia Oggi. Ma Baudo è un professionista e sa bene come si fa televisione rispetto ai tanti personaggini “fuffa” dalla consistenza di un budino che affollano il tubo catodico.
La politica è la comunicazione che non cambia o è la comunicazione che può cambiare la politica?
In politica ci sono molte parole di uomini, ma pochi uomini di parola. Negli ultimi tempi il linguaggio dei politici è scaduto nella volgarità. Lo dice la Cassazione nel confermare l’assoluzione di un consigliere del comune di Buccino, in provincia di Salerno, accusato di avere formulato giudizi ritenuti offensivi da parte del sindaco della città. La Suprema Corte ha scagionato il consigliere dall’accusa con la seguente motivazione: “Il linguaggio di molti politici di livello nazionale, e in alcuni casi addirittura dei leader, si è talmente involgarito ed è divenuto tanto aggressivo che non deve meravigliare se poi rappresentanti politici locali imitino i propri capi”. Basti pensare a quale misero e squallido spettacolo ci hanno fatto assistere durante il voto di fiducia al Senato. Sembrava la rivolta di un ospizio con tanti nonnini che si sputavano in faccia, urlavano e si spintonavano per la dentiera.

Il Belpaese, o meglio il Paese dei vecchi tromboni come lo definisce lei, non ha troppi comunicatori e pochi muratori?
E’ vero, è per questo che in Italia non si riesce più a costruire nulla. L’Italia è la Repubblica fondata sulla prostata dove c’è la gerontocrazia ma manca la meritocrazia. Quando parlo di vecchi non mi riferisco all’età anagrafica, ma alla mentalità. Non c’è cosa peggiore dei giovani all’anagrafe ma vecchi dentro e quindi mentalmente chiusi. Ci sono anche pochi muratori, però, perché ormai partecipano ai reality per diventare star di questa tv.

La critica la definisce il “David Letterman italiano”. In Italia c’è qualche telegiornalista o conduttore ai quali si ispira?
Questi 22 anni di lavoro, di studio e di ricerca mi sono serviti per potermi muovere nei vari ambiti della comunicazione che sono concatenati. Un programma radiotelevisivo va prima scritto, poi condotto e infine comunicato. E da qualche anno lo insegno anche in varie università pubbliche e private italiane. Sono uno sperimentatore di tutti i mezzi di comunicazione, uno che si diverte nel fare ciò che fa. Mi ispiro agli anchormen anglosassoni come David Letterman e Jay Leno.

Il suo è un infotainement personalizzato che esprime attraverso il suo riconoscibile tono beffardo…
Sì, uso l’ironia e la creatività, creo linguaggi nuovi, amo il ritmo. La radio, a differenza della tv, ti permette di fantasticare. Nella passata edizione i miei ascoltatori si erano molto affezionati alle nostre due mascotte Caino e Abele, due cani, uno mansueto e l’altro ringhioso che avevo adottato per segnalarci l’arrivo degli ospiti. I tempi cambiano e nell’attuale edizione ci sono due gatti, Evasione e Fiscale. Ovviamente in studio sono solo davanti a un microfono, ma chi ascolta Il ComuniCattivo fa un viaggio nella fantasia su temi reali. Sono nato in tv, a Videomusic, la prima tv musicale europea, nel programma Crazy Time di Rick Hutton e Clive Griffiths. Avevo 16 anni. Sono rimasto nel programma per tre anni. Diciamo che già facevo infotainment, anche se a sedici anni ancora non lo sapevo.

Che cosa cambierebbe dell’informazione italiana?
Ormai sono rimasti soltanto i necrologi le sole informazioni non strumentalizzate dove anche l’età è vera e non c’è bisogno di aggiungere o togliere l’Iva. In America sapere e far sapere ciò che avviene nella stanza dei bottoni è chiamata informazione scomoda. Qui da noi gogna mediatica. L’era dell’informazione è prigioniera della disinformazione. La globalizzazione invece di favorire la diversità delle informazioni ha accentuato l’istinto gregario dei mass media tanto da uniformare le notizie.

Da autore e conduttore televisivo quale programma spedirebbe su Marte?
Compro una vocale. La televisione è fiction anche quando pretende di mostrare i fatti reali. E’ un tritacarne. Alcuni programmi televisivi sono terapeutici e la loro visione viene consigliata anche dai medici. Sì, per espellere i calcoli. Ettore Bernabei, che fu direttore generale della Rai disse che “La televisione ha un potenziale esplosivo superiore a quello della bomba atomica. Se non ce ne rendiamo conto, affermò, rischiamo di trovarci in un mondo di scimmie ingovernabili”. Il Paese è ormai un bioparco pieno di ecoballe. Sono talmente tanti i programmi senza senso che non sarebbe giusto infettare anche gli eventuali abitanti di Marte. Se un extraterrestre si dovesse fare un’idea della razza umana dalla nostra tv che cosa penserebbe di noi? Forse è per questo che gli extraterrestri non si fanno vivi, forse sono terrorizzati dall’incontrarci. Anche negli altri Paesi c’è tanta spazzatura catodica, ma ci sono molte più alternative valide. Da noi le trasmissioni sono tutte uguali. Mi piace molto invece la nuova edizione di Uno Mattina curata dalla scrittrice e autrice Maria Pia Ammirati che, da dirigente Rai con un grande bagaglio culturale, ha svecchiato il programma e lo ha reso di ampio interesse. Condivido ciò che ha affermato il vice direttore generale della Rai, Giancarlo Leone: bisogna tornare a una tv scritta, e io aggiungo anche a una radio scritta, soltanto così si potrà combattere il pressappochismo e la sciatteria.

Meglio la radio o la tv?
Dipende da quale radio si ascolta e da quale emittente televisiva si guarda. La tv del dolore è sempre più presente, i talk-show di Vespa e Mentana si sono trasformati in tribunali in cui passano tutti i casi di cronaca nera più truci che però fanno più ascolto dei politici, il presunto evasore fiscale Valentino Rossi approfittando della sua notorietà manda un video ai telegiornali come fa Bin Laden.
In radio, nel 2004, ha inventato il primo reality. Per un creativo-sperimentatore la radio è l’isola felice?
In radio i rumori possono diventare parole. Il fenomeno della gente che torna a preferire la radio alla televisione lo potrei definire con uno dei miei aforismi: “Radio, più parole, meno… rifatti”. La radio ti permette una maggiore libertà di espressione rispetto alla televisione perché meno soggetta a censure. E’ mezzo di comunicazione davvero democratico e pluralistico, gratuito e accessibile a tutti. Purtroppo molte volte scimmiotta la tv e a quel punto è perdente. E gli ascoltatori aumentano ogni anni. La gente dimostra di apprezzare molto le radio d’informazione come Radio 1, diretta da Antonio Caprarica, da sempre in testa, o come Radio 24 diretta da Giancarlo Santalmassi che è in ascesa. Apprezzo molto anche Radio 105 diretta da Angelo De Robertis, un’emittente innovativa con un brand molto forte che sa stare al passo con i tempi. Dalla radio il pubblico vuole innovazione, non permette sciatteria o pressappochismo. E non c’è l’immagine a salvarti.

Comunica più Berlusconi, Veltroni o Carla Bruni?
Berlusconi, ma anche Veltroni, ma anche Carla Bruni.

Facciamo il gioco della torre. Chi butta giù tra Vespa e Mentana? E tra Floris e Piroso? Costanzo o Marzullo? Marcorè o Crozza?
Tra Vespa e Mentana mi butto giù io, tra Floris e Piroso tengo il primo, tra Costanzo e Marzullo chiedo al pipistrello della notte Marzullo di farmi vedere le mutande con le sue iniziali e poi lo butto giù, tra il triste Marcoré e Crozza tengo il secondo.

Parafrasando il titolo del suo ultimo libro pubblicato da Baldini Castoldi Dalai come si fa ad ammazzare il tempo senza farlo soffrire?
Con i miei aforismi. D’altro canto, come affermo io, se è vero che una citazione ti fa diventare dotto, una critica ti trasforma in Brontolo?

All’Università di Udine ha ideato il primo corso sull’infotainment. E’ il futuro?
Attirare l’attenzione di chi è frastornato da continui richiami comunicativi è di importanza cruciale. Ed è per rispondere a queste necessità che il giornalismo anglosassone ha dato il via a una formula capace di collegare l’informazione all’intrattenimento, un genere che va sotto il nome di infotainment. Esercitato da professionisti privi di scrupoli, può portare a spettacolarizzare la banalità, può catturare l’attenzione del pubblico facendo leva sui suoi istinti più bassi e più violenti al solo scopo di tenerlo attaccato al video perché altra pubblicità possa scorrere. Ovviamente io insegno il mio modo di fare infotainment. Gli studenti si sono dimostrati entusiasti. Non a caso il corso è nato all’Università di Udine, il cui rettore, il matematico Furio Honsell, è un grande innovatore.

Marco Castoro

Giornalista. Scrivo di media, informazione e tv. Tifo Roma, sono cresciuto con le canzoni dei cantautori. I miei idoli: Totti, Al Pacino, Ancelotti e Audrey Hepburn.