Le epidemie mancate. Aviaria, Sars, Bse: previsioni errate. Il costo per lo Stato italiano: 550 milioni di euro

DAL CORRIERE DELLA SERA

Le tre emergenze sanitarie di questi ultimi otto anni, che poi non si sono rilevate tali, Bse, Sars e influenza aviaria, sono costate alle casse dello Stato italiano più di 550 milioni di euro, oltre mille miliardi delle vecchie lire. Ecco un riepilogo:

Bse (mucca pazza, 2001-2007) 139 casi nel mondo (129 in Gb, 6 in Francia, 1 ciascuno in Italia, Usa, Irlanda e Canada). Costi 443 milioni di euro (37.330.000 per sostenere il mercato e ricomprare le vacche abbattute; 233.575.000 per la distruzione delle carcasse bovine; spese sanitarie: 164.000.000 per laboratori diagnostici e test più 8.500.000 al centro nazionale per le encefalopatie spongiformi)

Sars (1 nov 2002-31 lug 2003) 898 casi nel mondo (774 morti), colpiti 26 paesi nell’area Pacifico Ovest. In Italia: 4 casi di importazione. Costi: 60 milioni di euro così ripartiti: 30 milioni agli ospedali Sacco e Spallanzani per la creazione di laboratori all’avanguardia e reparti con posti letto ad altissimo isolamento. 15 milioni per l’acquisto di antidoti per allarme terrorismo dovuto ad agenti chimici. 15 milioni per l’acquisto di 25 stazioni di decontaminazione.

Aviaria (2003-2007) 369 casi nel mondo (234 morti). In Italia nessun caso. Costi: 53,8 milioni di euro così suddivisi: 31.135.00 aiuti agli allevatori da parte delle Regioni, 16.700.000 aiuti agli allevatori da parte dello Stato. 5.500.000 per la prenotazione di 38 milioni di dosi di vaccino. 602.000 per l’acquisto di 150 mila dosi di un pre-vaccino destinato al personale sanitario di primo intervento.

Un altro inverno è passato, il terzo da quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità lanciò l’allarme di un nuovo rischio epidemico legato a un virus di origine aviaria, l’H5N1. Sembrava che da un momento all’altro la febbre dei polli, diabolica per i volatili, potesse fare «almeno un milione di morti » disse l’Oms, contagiando l’uomo con la stessa aggressività della micidiale Spagnola, la peggiore pandemia della storia. Dal 2003 ad oggi, per fortuna, nulla è successo di tutto questo. L’aviaria colpisce l’uomo ma poi si ferma. Il rischio endemico (veloce contagio uomo-uomo) non è dimostrato e l’emergenza, soprattutto da noi, si è rivelata quasi esclusivamente veterinaria. E’ successo almeno altre due volte negli ultimi 10 anni di veder passare probabili catastrofi epidemiche terminate con bilanci molto modesti sul piano delle perdite umane. Ricordiamo la Sars negli ultimi mesi del 2002. Anche lì l’Oms lanciò (era il marzo 2003) un allarme: «Non si sa quando ma la pandemia ci sarà». E invece è sparita. E ancor prima la Bse, il morbo della mucca pazza, arrivato nel 2001 in Italia. In via di estinzione. Cominciamo dall’H5N1. Qualcuno predisse milioni di morti. I governi occidentali fecero a gara per accaparrarsi scorte di antivirali e assicurarsi la precedenza nell’acquisto di vaccini.

La tabella aggiornata dell’Oms rispecchia una realtà ben diversa. Dal novembre del 2003, la presunta big influenza ha contagiato 369 persone uccidendone 234. La maggior parte in Vietnam, Indonesia, Egitto, Thailandia e Cina. Si è fermata all’Azerbaijan e alla Turchia, dunque alle porte dell’Europa, non è riuscita a fare breccia nei Paesi dove condizioni igieniche e qualità dei sistemi sanitari sono migliori. La trasmissione interumana, che avrebbe potuto dare il via all’ondata contagiosa, non è mai stata dimostrata. Il virologo Fernando Dianzani ritiene che molto difficilmente l’H5N1 potrà scatenare la nuova pandemia perché non possiede le caratteristiche per saltare da uomo a uomo: «La prudenza era doverosa ma ora possiamo dire che abbiamo esagerato nell’annunciare la catastrofe. Predire l’arrivo di una pandemia da H5N1 è un’illazione che non si basa su dati concreti. Fino a questo momento il virus aviario non si è ricombinato con quello umano, non ha cioè scambiato pezzi di genoma, evento che avrebbe determinato un reale pericolo». E allora, a cosa attribuire l’enfasi con cui le autorità scientifiche internazionali, Oms in testa, hanno lanciato e rilanciato allarmi? Ha le idee chiare Maria Rita Gismondo, microbiologa dell’ospedale Sacco: «Dietro fenomeni come questi si celano grossi appetiti industriali. C’è chi ha interessi diversi dalla tutela della salute. Pensiamo a quelli commerciali. Bisognerà poi riconsiderare le modalità di diffondere informazioni. Coinvolgere la popolazione fin da subito significa seminare panico». Andrebbe bocciata anche l’Oms? La microbiologa insiste: «E’ un’istituzione politicizzata: quando c’è di mezzo la salute non bisognerebbe muoversi in base a opportunità e pressioni industriali».

E che fine ha fatto la Sars che ha atterrito il mondo tra novembre 2002 e fine luglio 2003? Moderatamente colpiti sono stati soltanto il Sudest asiatico e il Canada, unico Paese occidentale coinvolto: 8.100 casi, 774 morti causati da un virus della polmonite venuto dal mondo animale. Lei sì, incuteva paura per la velocità nel propagarsi attraverso il respiro. E in Italia la paura fu ingigantita dalla morte del virologo italiano Carlo Urbani, che era stato lo scopritore del virus della Sars e che proprio venendone a contatto perse la vita il 29 marzo 2003. Ma oggi non ce n’è più traccia: «Il virus è tornato nel suo habitat naturale perché ha perso le caratteristiche aggressive. In quella situazione la barriera sanitaria dei Paesi occidentali ha funzionato. L’epidemia non ha toccato l’Europa», dice Dianzani. Infine la Bse, «mucca pazza», che ha sterminato gli allevamenti bovini d’Europa e tenuto lontane dalle nostre tavole la prelibata bistecca con l’osso. Si scoprì che l’agente infettivo, il prione, poteva colpire l’uomo con la cosiddetta variante della Creutzfeldt Jakob, malattia degenerativa neurologica. I tecnici predissero migliaia di morti. Il registro mondiale aggiornato a febbraio riporta 163 casi (più tre da trasfusione). «Abbiamo sbagliato, è vero — ammette Maurizio Pocchiari, Istituto Superiore di Sanità —. Ma siamo stati condizionati dalla scarsità delle conoscenze. Però una volta capito, abbiamo aggiustato il tiro. L’emergenza è finita. Anche se qualche dato non torna». In quanto alla Bse bovina, in Italia non c’è più. L’altro anno si sono ammalate 2 vacche. Quest’anno nessuna. «I controlli veterinari sono stati efficaci», dice Maria Caramelli, responsabile del centro riferimento per la Bse all’istituto zooprofilattico di Torino.

Margherita De Bac
03 marzo 2008

Marco Castoro

Giornalista. Scrivo di media, informazione e tv. Tifo Roma, sono cresciuto con le canzoni dei cantautori. I miei idoli: Totti, Al Pacino, Ancelotti e Audrey Hepburn.