Prodi, addio cantando Dylan

DALLA STAMPA

Da settimane e settimane Romano Prodi sublimava la sua delusione nel silenzio e anche l’ennesima giornata appartata si stava spegnendo senza patos. E invece, poco prima di mezzanotte, il Professore chiese al suo portavoce: «Dai Silvio, ce la fai “Blowin’ in the wind”?». Proprio così. Finita la cena, al piano nobile di palazzo Chigi, Prodi si è allentato il nodo della cravatta e in uno slancio di ritrovato buonumore, ha chiesto a Silvio Sircana di strimpellare la celebre canzone di Bob Dylan.

Sircana, che è un virtuoso della chitarra, ha tirato fuori lo strumento dal suo nascondiglio, ha saggiato le corde ed è partito: «How many roads must a man walk down…». Il Professore prima ha socchiuso le palpebre, poi si è messo a cantare pure lui: «How many times must a man look up…», per quanto tempo un uomo deve guardare in alto prima che riesca vedere il cielo? Finito Dylan, il chitarrista ha proposto “We shall overcome”, il Professore ha annuito e alla fine ha raccontato: «Mi ricordo benissimo, questa canzone Joan Baez la cantò ai funerali di Bob Kennedy, funerali persino più commoventi di quelli del fratello. Avevo 29 anni…».

Una sequenza da film sentimentale. Un presidente del Consiglio ormai fuori dalla mischia che nel cuore della notte si mette a intonare le canzoni della sua giovinezza è una scena che ha finito per toccare i ragazzi dell’Ufficio Stampa, che quella sera erano stati convocati da Prodi per un saluto finale. Qualcuno di loro guardava il soffitto per non commuoversi; qualcun altro era divertito e canticchiava; qualcun altro intuiva che stava per aprirsi una serata speciale. E così è stato. Protetto dalle mura amiche, alcuni giorni fa Prodi ha finalmente raccontato la sua versione dei fatti sulla caduta del governo. Certo, in pubblico finora si è ben guardato dal lanciare accuse e tantomeno si è prodotto in quel “grande sfogo” tanto atteso dai giornali. Prodi ci tiene troppo a non rinverdire la fama del rancoroso ed è riuscito a resistere alla tentazione di replicare alle quotidiane accuse di Silvio Berlusconi, ma anche di ricordare i misconosciuti meriti del suo governo.

Ma l’altra sera Prodi ha risposto senza rete alle domande dei ragazzi che nei 23 mesi precedenti avevano cercato di “fronteggiare” giornali e tv. Uno di loro ha chiesto: «Presidente, hai mai capito come mai i giornali “padronali” ti hanno osteggiato dal primo all’ultimo giorno?». Prodi ha sorriso: «Sai, me lo sono chiesto tante volte e alla fine ho trovato la risposta. Io ho vinto per due volte le elezioni, ma se sono riuscito a governare soltanto per 5 anni scarsi, questo mica è un caso. L’atteggiamento ostile dei giornali e dei loro proprietari si spiega così: io ero un’anomalia che non sono riusciti a riassorbire, ho urtato interessi di qua e di là e alla fine sono stato espulso!». Parole dure, amare di un professore orgoglioso, che ha provato a non rinunciare alla sua indipendenza rispetto ai poteri forti. Il mondo delle imprese. Gli Stati Uniti di Bush. Ma anche la Santa Romana Chiesa di Camillo Ruini: «Che paradosso, proprio io, che ho sempre avuto un rapporto così intenso e profondo con quel mondo…». E il suo pensiero va ad un passaggio che ha finito per restare cancellato nel racconto della crisi di governo. Era il 24 gennaio e la giornata – conclusa con la caduta dell’esecutivo – si aprì con una nota ufficiale del governo di smentita al presidente della Cei, il cardinale Bagnasco, sulla visita del Papa alla Sapienza. Uno scambio duro, uno dei più aspri nella storia recente tra la Chiesa e un governo italiano.

Certo, Prodi vanta fior d’amicizie tra i bancheri. Certo, l’autocritica è un genere sconosciuto al Professore e semmai la sua capacità analitica diventa penetrante nell’individuare i nemici. Tutti immaginano che Prodi ce l’abbia con Clemente Mastella, ma il Professore stupisce la tavolata: «Lui ha tradito, non c’è dubbio. E il modo in cui l’ha fatto dimostra mancanza di senso dello Stato: pensate l’ho cercato per due giorni, io avevo bisogno di fare almeno il cambio delle consegne al ministero di Giustizia. Ho chiesto persino a Diego Della Valle di trovarlo. Niente. Lui non aveva fatto male come ministro, ma la vera responsabilità politica non è stata la sua…». E di chi è stata? «Di chi ha minato continuamente l’azione del governo, di chi ha fatto certe dichiarazioni istituzionalmente opinabili…». Neppure tra i suoi, Prodi chiama per nome Fausto Bertinotti ma è a lui che pensa. Il Professore non ha dimenticato di essere stato paragonato ad un «poeta morente» e ad un fruitore di «brodini caldi» da colui che era – e ancora è – la terza carica dello Stato. E tanto gli brucia l’atteggiamento di Rifondazione comunista che Prodi, anche in privato, promuove Veltroni: «Walter ha fatto la scelta giusta: correre da soli». E il discreto feeling tra i due è confermato dal comizio in tandem che Prodi, il leader del Pd e il sindaco di Parigi Bertrand Delanoe, terranno domani in piazza Maggiore a Bologna. Anche se l’altra sera, il Professore confessava: «Davvero strano non aver potuto fare campagna elettorale…».

Un Prodi orgogliosamente solitario che racconta di non aver avuto timore neanche nello sfidare l’opinione del Capo dello Stato durante la crisi di governo: «Subito dopo aver parlato al Senato, ho ricevuto molte richieste, a tutti i livelli, per recarmi subito al Quirinale e dimettermi senza un voto. Ma per la mia dignità e per la dignità della politica ho tenuto duro sulla procedura più trasparente. Anche perché se avessi rinunciato al voto, avrei consentito ai Mastella e ai Dini di poter poi dire: Prodi si è dimesso, ma noi mica avremmo votato contro. La procedura trasparente ha inchiodato i responsabili e non è un caso che Mastella non sia stato candidabile da nessuno…». Zampate dell’antica cattiveria. Anche se venate da una certa malinconia. L’altra sera, oramai era passata mezzanotte, il Professore si è alzato, si è affacciato dalla finestra, ha visto la piazza vuota e poi ha chiesto a Sircana: «Fai Sound of Silence?».
Fabio Martini

Marco Castoro

Giornalista. Scrivo di media, informazione e tv. Tifo Roma, sono cresciuto con le canzoni dei cantautori. I miei idoli: Totti, Al Pacino, Ancelotti e Audrey Hepburn.