Brunetta si scaglia contro i salotti del potere

C’è chi sogna le vacanze. Chi una laurea, chi un diploma. Chi un posto di lavoro e chi una trasmissione in tv. Il sogno di Renato Brunetta è sempre stato quello di vincere il Nobel. Fin da piccolo. Non è una battuta, intendiamo dire piccolo di età. Tuttavia, seppure non abbia – almeno per ora – coronato il suo sogno (ma non è detto che prima o poi non ci riuscirà) è diventato un ministro della Repubblica. Anzi uno dei ministri della Repubblica italiana più apprezzati e conosciuti. Di sicuro uno di quelli che più si sono impegnati per cambiare l’Italia. I fannulloni ne sanno qualcosa. Ma torniamo ai sogni. Molti li realizzano dopo qualche partecipazione ai salotti del potere romano, frequentati da politici, manager e starlette. Ebbene se c’è una cosa che manda in bestia il ministro Brunetta è essere invitato e partecipare ai salotti romani. Addirittura preferirebbe andare a cena con quattro fannulloni, Daria Bignardi, e due finti malati. E per il dopo cena vedersi tutte le imitazioni su di lui fatte da Crozza piuttosto che ritrovarsi a scambiare quattro chiacchiere in casa di Maria Angiolillo o di Marisela Federici, Guya Sospisio, Melania Rizzoli, Sandra Verusio. E chi più ne ha più ne metta.
«Non amo i salotti, non amo i salotti romani, non amo i salotti in genere. E molto probabilmente i salotti non amano me. Tant’è vero che da quando ho cominciato a fare vita pubblica di inviti ne ho ricevuti sempre pochi. E avendoli sempre rifiutati, alla fine sono stato cancellato dalle loro liste» scrive il ministro Brunetta sulo suo blog, ammettendo che da quando è diventato ministro gli inviti sono tornati.
«In origine i salotti erano altra cosa», scrive Brunetta, «luoghi di potere, certo. Ma soprattutto cenacoli che, aggregandosi intorno a personalità femminili di grande valore, venivano frequentati dagli esponenti più brillanti del mondo letterario, artistico e politico. E non di rado vi nascevano idee e tendenze destinate a influenzare buona parte della società dell’epoca. Quelli invece di cui ho conoscenza, che ho evitato e che continuo a non voler frequentare non hanno purtroppo nessuna delle caratteristiche che hanno reso celebre la seicentesca Chambre Bleue della marchesa de Rambouillet, il settecentesco Salon de la rue de Bac di Madame de Staël oppure l’ottocentesco salotto milanese della contessa Clara Maffei».
Niente da dire. Il suo pensiero ci sembra chiaro. Eppure non è nulla rispetto alla coda del post – che come tutte le code di rispetto – contiene la dose letale di veleno. «Sarò un po’ arrogante e spocchioso, lo ammetto», scrive Brunetta, «ma non vedo perché dovrei trascorrere le mie serate respirando l’aria dei gruppetti autoreferenziali, sempre pronti alla misurazione stucchevole e provinciale di chi sia più potente e chi meno… Piume di pavone di qua, piume di pavone di là. E magari il retrogusto amaro di ritrovare il giorno dopo su Dagospia le frasi scambiate tra un primo e un secondo, tra un pasticcino e un cioccolatino. Mi dispiace ma non ci sto. Non è il mio mondo. Non è il mio stile di vita. Io sono un banale parvenu. Lasciatemi in pace. Certamente non succederà niente di grave». Di una cosa siamo certi: nessuno avrà più il coraggio di invitarlo.

Marco Castoro

Giornalista. Scrivo di media, informazione e tv. Tifo Roma, sono cresciuto con le canzoni dei cantautori. I miei idoli: Totti, Al Pacino, Ancelotti e Audrey Hepburn.